Calvi Risorta - Antica Cales

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CALVI RISORTA

view.jpg (32815 byte)IL PAESE

Il Paese, che è nella provincia di Caserta e dista 26 chilometri dal capoluogo, è costituito da più frazioni: Zuni, che è la sede amministrativa e la stazione dei Carabinieri, Visciano e Petrulo.

Ha una superficie di kmq 15.99, con altitudine di m.113 ai piedi del Monte Maggiore (1.037 metri); i suoi abitanti sono 5.764 e sono chiamati "caleni"; la festa Patronale è quella di "San Casto", che ricorre da tempo immemorabile il 22 maggio.

LA STORIA

Calvi sorge sul luogo della città aurunca di Cales, che fu crocevia di grandi civiltà antiche: l’aurunca, l’etrusca, la latina, la sannitica. Fu occupata da Marco Valerio nel 335 a.C., che vi dedusse una colonia di diritto latino di 2.500 uomini per il controllo di un’area ritenuta di rilevante importanza strategica. Cadde nel dominio dei Sanniti nel 298 a.C.; contraria ad aiutare Roma contro Annibale nel 219 a.C., subì per punizione l’imposizione di tributi doppi; cadde nel potere di Annibale nel 211 a.C., ma venne ripresa dai Romani e riferita come "municipium" da Cicerone e Orazio.

Era famosissima per la ceramica che diffuse in tutta Italia; i "vasi caleni" erano coperti di vernice lucida e nera e decorati con motivi ornamentali e figurati, che ricalcavano quelli dei vasi in bronzo e argento. Assai interessante è la ricca produzione coroplastica attestata dal ritrovamento di migliaia di ex-voto, tra cui statue, rilievi fittili, testine, vasetti miniaturistici. Famoso fu il suo vino e la fabbricazione degli attrezzi agricoli, tra cui il "calesse", vettura con mantice a due ruote e a un cavallo, senza sedile per il cocchiere. La città, mai completamente abbandonata, divenne nel IV sec. sede vescovile. Nel Medioevo l’arce della città antica fu racchiusa da nuove mura, all’interno delle quali, sui resti di un tempio, fu fondata la Cattedrale romanica di "San Casto" (sec.XI); poi, su un precedente impianto di epoca longobarda, sorse il Castello Aragonese (sec. IX) a pianta quadrata con torri cilindriche angolari, nei pressi del quale furono costruiti la cosiddetta Dogana Borbonica, piccola costruzione a pianta quadrata con cupola ribassata, e il Seminario vescovile settecentesco. Fu feudo delle famiglie Del Balzo, Monforte e Marzano.

DA VISITARE

Da visitare: il Monumento ai Caduti, il Palazzo del Municipio e il Seminario, retto dai Padri Passionisti. A Calvi Antica, per grande interesse storico-culturale, si trova la Chiesa Madre, la Cattedrale Romanica (sec.XI), Monumento Nazionale, dedicata all’Assunta, venerata da "San Casto", cittadino caleno, Vescovo e Martire del I sec., Protettore di Calvi Risorta, il cui culto risale all’età degli Apostoli. Della costruzione romanica rimangono tre absidi, il muro esterno di una navata, le linee generali della facciata e un sarcofago dell’VIII secolo. L’interno custodisce numerose opere d’arte, tra le quali la Cattedra e il Pulpito di S. Casto, medioevali, la Pala d’altare e la Sagrestia affrescata nel 1700 dal Mozzillo con le effigi dei Vescovi dell’antichissima Diocesi di Calvi. Interessante è la Cripta con n. 21 colonne di granito cipollino e pregiatissimi diversi capitelli, provenienti dall’antica Cales. Nel Borgo si trovano anche i resti del Castello e il settecentesco Seminario Apostolico, fondato da Mons. Filippo Positano (1720-1732), visitato da Papa Benedetto XIII il 16 maggio 1727. Mons. Giuseppe Maria Capece Zurlo (1756-1782), divenuto poi Arcivescovo-Cardinale di Napoli, fece così mirabilmente rifiorire il Seminario nella scienza e nella pietà che, stando alle cronache del tempo, "il Seminario di Calvi poteva ben dirsi l'albergo delle Scienze e delle Muse". Delle frazioni si citano le chiese di San Nicola, di San Silvestro, di S. Nicandro, la Piccola Lourdes e i Palazzi Mandara, Gaito, Sanniti-Zona e Cotecchia. L’archeologia comprende avanzi dell’Anfiteatro, ruderi di Terme e d’un edificio termale, cavea del Teatro, resti di un Tempio, ruderi di monumenti sepolcrali, tratti della cinta muraria, il cosiddetto "Ponte delle Monache", i resti della Chiesa di San Casto Vecchio. Si consiglia l’escursione alla Grotta dei Santi, praticata nel tufo dai monaci di San Basilio, venuti a Calvi dall’Oriente, dove vigeva la persecuzione degli iconoclasti, con circa 30 affreschi alle pareti (secoli X e XI), e alla Grotta delle Formelle, scavata nel tufo e con affreschi della medesima epoca. Attualmente, la Cattedrale Romanica, il Seminario settecentesco, il Castello Aragonese e tutto il comprensorio, come per Legge 01.06.1939 n.1089 sulla tutela delle cose di interesse artistico o storico, sono vincolati: archeologicamente con i Decreti Ministeriali del 05 Ottobre 1995, a seguito del D.L. 03.02.1993 n.29, e del 30 Giugno 1998; architettonicamente e paesaggisticamente con Decreto Ministeriale del 13 Maggio 2000 ai sensi del D.L. 29 Ottobre 1999, n.490 e prot.4704 del 2.3.2000, con Dichiarazione "d’interesse particolarmente importante", ai fini della "salvaguardia dell’integrità di detti immobili e delle loro condizioni di prospettiva, luce, cornice ambientale e decoro".

La "Grotta dei Santi"

A poca distanza della Cattedrale romanica di Calvi, si trova la così detta "Grotta dei Santi", una grotta praticata nel tufo, a colpi di piccone, da alcuni monaci basiliani, sfuggiti alla persecuzione dei feroci iconoclasti ed approdati a Calvi dall'Oriente.

Di forma rettangolare, presenta all'interno resti di un antico altare ed alcune pitture di Santi, anteriori al secolo XII. La devozione popolare la denominò "Grotta dei Santi" sia per la sacralità dell'ambiente in se stesso sia per la vita santa, rigida e austera dei monaci che l'abitavano.

Attualmente è in uno stato di completo abbandono; gli affreschi furono sfigurati o trafugati, poi in parte recuperati; oggi alcuni sono conservati presso la Soprintendenza si Beni storici e Culturali A.A.A. di Caserta.

Da ricordare ancora la "Grotta della Formelle" con interessanti pitture del X e XI secolo.

APPUNTAMENTI:

Carnevale Caleno - Sagra del Carciofo (fine Maggio) - Estate Calena (Agosto) - Sagra del Cinghiale (Ottobre) -

NUMERI UTILI:

Municipio: tel. 0823-651222; Sindaco: tel. 0823-651106; fax: tel. 0823-652826 -651596; Polizia Municipale: 0823-652415; Guardia Medica notturna e Festiva: 0823-874600; Pro-Loco: tel. 0823-783132; Carabinieri: tel. 0823/652792; C.A.P.: 81042. 

RISPOSTE A DOMANDE

SU CALVI RISORTA E SULL'ANTICA CALES

Calvi Risorta

  1. Provincia=Caserta
  2. Superficie=Kmq 15.88
  3. Altitudine=m 113
  4. Abitanti=5737
  5. Denominazione abitanti=Caleni (Gell. 10,3,3)
  6. Festa Patronale=San Casto
  7. Distanza da Caserta=km 26
  8. Sindaco=prof. Antonio Caparco
  9. Codice di avviamento postale= 81042
  10. Castello Aragonese=sec.IX
  11. Cattedrale=sec.XI
  12. Grotte dei Santi e delle Formelle=sec.X-XI
  13. Cales:

  14. Cales=città dei Caleni (Plinio 3,63; Sil. 8,514)
  15. Caleni=Piccola popolazione dell’Ausonia (Cicerone, Fam. 9,13,3; Phil. 8,13)
  16. Colonizzati dai=Romani
  17. Quando divenne colonia romana=nel 420 a.C.
  18. Cosa erano i "fictilia"=vasi di argilla
  19. Enumera almeno n.3(tre) scrittori romai che menzionano Cales=Virgilio, Orazio,Giovenale, Strabole, Vitruvio, Catone, Plinio il Giovane, ecc.
  20. Quando Cales cadde nel dominio dei Sanniti=nel 298 a.C.
  21. Quando Cales cadde in potere di Annibale=nel 211 a.C.
  22. Quando i suoi abitanti abbandonarono la loro patria, per fondare i futuri centri di Calvi Risorta, Sparanise, Francolise, Pignataro Maggiore, Camigliano=alla fine dell’VIII secolo d.C.
  23. Rinomata=per il suo vino eccellente (Iuv. 1,69; Cicerone, Agr. 2,96; Orazio, Carm. 4,12,14)
  24. Riferita come "municipium" da=Cicerone e Orazio
  25. Chi la nomina come "agrum calenum"=Cicerone, Att. 8,3,7
  26. Calesse=Vettura con mantice a due ruote e a un cavallo, senza sedile per il cocchiere
  27. Teatro Romano:

  28. A quale secolo risale= prbabilmente al II sec. a.C.
  29. In che località sorge il Teatro=in località "Grotte"
  30. Quante sono le arcate interne=N.12
  31. Terme del Foro:

  32. Quale archeologo ne determinò la pianta=Werner Johannowski
  33. Zecca calena:

  34. Quale "legenda" portano le monete="Caleno"
  35. Quando, secondo gli studiosi, iniziò la sua attività la zecca calena= nei primi due decenni del III secolo a.C.

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ANTICA CALES: CENNI STORICI
Le origini di Cales preromana sono leggendarie e si perdono nella notte dei tempi. All'epoca romana era attraversata, trasversalmente, dalla Via Latina (oggi S.S. Casilina, n°. 6) che, al Km. 187, la divideva in due parti: a nord, sopra una piccola altura, dove attualmente si vedono un Castello Medioevale, un vecchio Seminario e la Cattedrale romanica di Calvi, si ergeva 1' "Arx" (la rocca o fortezza); a sud, nella parte bassa, si estendeva l"'Urbs" (la città), con l'agglomerato urbano, il Foro, il Teatro, le Terme, I'Anfiteatro, i Templi ecc.
Zona di cuscinetto tra il Lazio e il Sannio, Cales, come le altre città della Campania, era contesa da entrambi per la sua posizione strategica . Nel 420 a. C. i Romani, sconfitti i Sanniti che l'occupavano, la ridussero a Colonia romana con diritto di conservare cittadinanza ed amministrazione propria e facoltà di battere moneta.
Paradossalmente fu proprio da colonia romana che Cales attraversò un periodo di grande prosperità. Già nota per la confezione dei "fictilia" (vasi di argilla), degli arnesi agricoli (aratri, torchi, zappe, badili, falci ecc.), per le sue acque termali, per la discreta qualità del vino, vide, in tale periodo, grandemente esaltate tali sue possibilità agricole ed artìgianali divenendo da semplice centro di consumo anche piccolo centro d'industria .
Non pochi sono gli scrittori romani che, per un verso o per un altro, menzionano Cales nelle loro opere. Così, ad esempio, Virgilio, Orazio, Giovenale, Strabone, Vitruvio, Catone, Plinio il Giovane ecc.
Purtroppo tale prosperità non durò a lungo perché, poco più di un secolo dopo, la fiorente colonia romana cadde di nuovo sotto il dominio dei Sanniti prima nel 298 a. C., e di Annibale poi, nel 211 Per colmo di sventura, trasferitasi la guerra punica dall'Italia nella Spagna, Cales dovette subire anche rappresaglie delle milizie romane per non avere fornito a Roma i richiesti aiuti militari e flnanziari. Inizia così per Cales il periodo oscuro della decadenza. I suoi abitanti (ormai pochi superstiti), esposti per secoli a continui saccheggi ed incursioni, decimati da epidemie e terribili calamità naturali (alluvioni, terremoti, ecc.), oppressi dai barbari prima e dai saraceni poi, alla fíne dell'ottavo secolo d. C., abbandonarono la loro patria, ormai distrutta, per cercare scampo altrove. Sorsero così i primi nuclei di quelli che sarebbero stati in seguito i futuri centri abitati di Calvi Risorta, Sparanise e Francolise, ad ovest dell'antica Cales; di Pignataro Maggiore e Camigliano, ad est. Dell'antica Cales, al presente, non rimangono che pochissimi ruderi in totale abbandono.
Si auspica un efficace intervento, da parte della Soprintendenza Archeologica e della Soprintendenza ai Beni Culturali e Storici, per il recupero e la conservazione di così importanti testimonianze storiche.
BIBLIOGRAFIA
Strabone, Geografia, V, 237, 249;
Silio Italico, Puniche, XII, 525; VIII, S14. 60
Polibio, Storie, III, 91; M. T.
Cicerone, De lege agrum, II, 86; Ad familiares, IX, 13; Filippica, XII, 27. 62
Tacito, Annali, IV, 27;
Appiano, Storia di Roma (guerra civile), I, 84. 64 S, I;
Frontino, De aquaeductu urbis Romae;
Valerio Massimo, Factorum et dictorum memorabilium libri IX, I, 8; III, 2;
Aulo Gellio, Notti Attiche, X, 3/3;
Plinio, Naturalis Historia, III, 60; II, 230; XIV, 65;
Orazio, Satire, I, 6/118, II, 3/144 - Odi, I, 20/9; I, 31/9; IV, 12/14;
Vitruvio, De architectura, VIII, 3;
Catone, De agricoltura, 135. 71;
Giovenale, Satire, I, 69. in Ateneo, I dotti a banchetto, I, 27.
Fra le tante opere ricordiamo:
Notizie istoriche intorno alle città di Calvi e Sparanise, Napoli 1792;
Calvi antica e moderna, Napoli 1797,
Raccolta di alcune iscrizioni calene, Napoli 1808;
Memorie istoriche dell'antichissima città di Calvi, Napoli 1820;
Dissertazione sull'antica Calvi, Napoli 1826;
Osservazioni sull'antica Calvi di M. Zona, Napoli 1835;
Osservazioni sulle risposte del sig. Zona, Napoli 1835;
Giuseppe Novi, Iscrizioni monumenti e Vico scoperti, Napoli 1861. 76;
Giulio Minervini, Alcune iscrizioni da Cales, Napoli 1864;
Domenico De Guidobaldi, Monumenti caleni, in « Boll. Arch. It. », n. 3, 1862. Premessa 11;
Giuseppe E. Carcaiso, Storia dell'Antica Cales, Edz. La Novissima, Acerra 1980;
Luigi Pedroni, Elementi per lo studio storico archeologico dell'antica città di "Cales", Liguori edit., Napoli 1984;
Stanislao R. Femiano, Linee di storia, topografia ed urbanistica dell’Antica Cales, Centro Grafico Edit., Maddaloni 1986;
Giuseppe E. Carcaiso, Calvi e 1'alta Campania, Grafiche Mincione, Sparanise 1996;
La prima campagna di scavi condotta secondo criteri scientifici fu quella del 1960.
Nuovo impulso agli studi ha dato Johannovsky con la pubblicazione di alcuni articoli fra il 1961 e il 1968.

TERME del FORO

In località Arco d'Orlando, di fronte il teatro, nella probabile area del Foro, a breve distanza verso Sud dall'incrocio tra il decumanus maximus ed il cardo maximum, si trovano i resti di un cospicuo impianto termale che il primo editore denominò terme centrali.

I poveri ruderi giacciono ora negletti, sommersi dal rovi e confusi col mite paesaggio della campagna calena, sebbene nel 1961 fossero getto di scavi sistematici ad opera dell'allora Soprintendenza alle Antichità della Campania.

Lo scavo parziale delle terme ha mostrato la suddivisione degli ambienti su tre file. Un lungo corridoio A che si apre su un decumano lastricato in selce, conduce all'apoditerium B dalle pareti lunghe ornate da otto semicolonne in laterizio. Sui lati corti dell'ambiente era una fila di tre colonne allineate alle semicolonne estreme.

Dall'apoditerium si accede alla sala C, un calidarium che per le strutture in ottimo opus latericium risulta aggiunto nel I sec. d. C. Inoltrato, ed alla sala D un tepidarium cui è allineato a Sud il calidarium E cc sul lato orientale.

Dal tepidarium D si accede all'ambiente G a pianta quadrata, allineati a Nord la sala F a pianta circolare ed a Sud l'ambiente di H che si apre sul corridoio I.

Sono infine riconoscibili il praefurnium L ed una cisterna M.

La parte originaria della fronte, rivolta verso il cardo maximus, in opus quasi-reticulatum di calcare e tufo, è scandita da semicolonne in laterizio con basi di tipo attico e capitelli ionici che reggono l'architrave a piattabanda di cunei di tufo.

Le semicolonne sono legate alla parete in opus quasi-reticulatum ammorsature del tipo così detto a vela.

I paramenti opus quasi-reticulatum associati ad ammorsature trovano confronto nel teatrum tectum di Pompei datato verso 1'80 a. C. .

Le terme centrali di Cales costituiscono, dopo le terme di Mercurio a Baia, che però sono più recenti, ed accanto al nucleo più antico delle terme Taurine presso Centumcellae, il più grandioso complesso termale repubblicana finora conosciuto.


TEATRO

In località Grotte, all'interno della città, tra due porte urbiche che aprono sul settore centrale del lato Ovest, è il teatro di Cales ha la pianta poco più ampia di un semicerchio con l'asse mediano della cavea orientata come l'anfiteatro da Est ad Ovest ortogonale al cardo maximus.

La cavea, completamente staccata dal terreno, poggia su un sistema d arcate che presenta una particolarità unica, non riscontrata finora su altri edifici teatrali antichi. Ognuna delle dodici arcate interne, alla metà circa dello sviluppo delle strutture si sdoppia, così che sul prospetto esterno in curva si contano ventiquattro arcate.

Alle chiavi delle arcate interne si innesta un muro radiale sul quale poggiano le due nuove volte risultate dallo sdoppiamento della prima.

La parte descritta costituisce la seconda fase di ampliamento di un edificio teatrale più antico del quale si conservano importanti tracce.

L'analisi strutturale delle arcate e l'uniformità nell'uso dell'opus quasi-reticulatum mostrano che questa seconda fase del monumento fu costruita di getto.

Della fase più antica del teatro è visibile parte dell'analemma Sud in opus incertum con vaghissima tendenza al quasi-reticulatum a grossi tufelli spigolosi rozzamente squadrati, che spicca su una fondazione a grossi blocchi squadrati di tufo.

Questa prima fase si data all'ultimo venticinquennio del II sec.

A questa struttura poggia, senza saldarvisi, la muratura in blocchi rettangolari di tufo dai lati corti obliqui legati con la malta, pertinente alla seconda ed ultima fase di ampliamento della cavea che fu poggiata su arcate di sostruzione con muri radiali portanti in opus quasi-reticulatum.

Precedentemente, abbiamo già notato che la faccia vista dei muri radiali delle arcate sono in opus quasi-reticolatum dalle linee sinuose che a fatica riescono a correre diagonalmente a 45°, a piccoli tufelli ben squadrati dalle dimensioni costanti.

E nel periodo di transizione dall'opus quasi-reticulatum, che rimase in uso tra il 100 ed il 55 a. C., all'opus reticulatum, timidamente annunciatosi su qualche parete del nostro teatro, che si colloca la seconda fase costruttiva del monumento: attorno alla metà del I sec. a. C.

ANFITEATRO

L'anfiteatro si trova in località Circulo oppure Circo all'interno della città, nella sua parte alta ad Est del Cardo Maximus, in posizione periferica a breve distanza dai cigli del fossato del Rio dei Lanzi, a ridosso di una probabile porta urbica.

Attualmente il monumento si presenta come una vasta e profonda conca ellittica, quasi senza più mutature, depressa rispetto al piano di campagna.

Come l'anfiteatro di Pompei, è ricavato in parte per scavo ed in parte per accumulo di terreno riportato.

Dei due assi dell'arena si può calcolare con buona approssimazione la misura di quello maggiore, potendo disporre di punti di riferimento certi.

La misura è di m. 87,20.

Le dimensioni degli assi dell'intero monumento, di m. 110 per 72, sono state calcolate facilmente perché sul settore Nord ed Est si conservano in situ i resti delle semicolonne in laterizio che ornavano i lati dei portali di ingresso all'ambulacro esterno.

L'arena, che giace ad un livello sottoposto di circa m. 7 rispetto al piano di campagna attuale, e la cavea, che oggi si presenta come una di terreno vergine compatto, mostrano che il luogo per gli spettacoli ottenuto scavando una vasta conca, in modo da poggiare le gradinate in declivio artificiale.

Le gradinate, oltre ad essere affondate nel terreno, ne emergevano su un terrapieno, ravvisabile osservando il dislivello esistente tra le fondamenta delle opere in muratura pertinenti ad una fase successiva di ampliamento della cavea, ed il piano di campagna attuale.

Poiché il banco naturale di tufo si rinviene a circa m. 1 di profondità dal piano di campagna, i sedili potettero essere sagomati direttamente sul posto come, ad esempio, nell'anfiteatro romano di Sutri.

Per le analogie con monumenti dalla simile struttura, in parte scavata ed in parte a terrapieno, come l'anfiteatro di Pompei eretto, o per lo meno iniziato, poco dopo 1'80 a.C. e come l'anfiteatro di Sutri sulla Via Cassia, che sarebbe di pochi decenni posteriore a quello di Pompei, sebbene i caratteri gli abbiano fatto attribuire talvolta una età più antica, la prima fase dell'anfiteatro di Cales si può collocare tra il primo ed il secondo venticinquennio del I sec. a.C.

Si accedeva all'ambulacro esterno attraverso quattro porte monumentali che si aprivano alle estremità degli assi. Infatti gli spezzoni dei corridoi anulari che ancora si conservano sull'intero quarto Nord-Est della cavea, comunicano con i resti di due portali monumentali aperti alle estremità Nord ed Est degli assi, dei quali si conservano soltanto pochi resti costituiti da un piedritto in laterizio con semicolonna dello stesso materiale su base di tipo attico.

Del prospetto esterno in curva possiamo farci una idea approssimativa perché solo un piccolo tratto in pessimo stato ne è visibile alle estremità Est dell'asse maggiore.

Un alto muro continuo in laterizio era interrotto alle estremità dei due assi da quattro portali monumentali con arco in opus latericium stuccato (dell'arco con delle decorazioni a stucchi resta traccia in un crollo presso il portale Est) sostenuto da piedritti decorati esternamente sulla fronte da microlonne a fusto liscio su base di tipo attico.

Le strutture delle opere della seconda fase: i due corridoi anulari concentrici con le gradinate sovrastanti, i vomitoria pertinenti, i quattro ingressi monumentali, sono in opus caementicium con la faccia-vista in ottimo opus latericium. Le volte degli ambulacri sono in concrezione cementizia gettata direttamente sulle centine lignee.

L'uso del mattone si diffuse alla fine del principato di Augusto, diventando sistematico nelle cortine sotto Tiberio (Domus Tiberiana).

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Castello Aragonese

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Castello nell'attuale degrado

partcas.gif (47637 byte)Il CASTELLO
Il castello si presenta come una tipica fortificazione di epoca aragonese con pianta quadrata e quattro torri cilindriche a base scarpata, innestate agli angoli. Probabilmente fu costruito proprio sul posto del resistente castello longobardo di cui parla Erchemperto, incorporandone le residue strutture
E quasi sicuramente questa è la sua origine, ma dal momento che molte delle sue caratteristiche architettoniche sono comuni pure a fortificazioni di età angioina, se non addirittura sveva, e dando comunque per scontato che nell'arce calena esisteva una roccaforte fin dall'alto medio evo, converrà allora mantenersi più prudenti in ordine alla sua classificazione e dire che il castello con tutta probabilità fu rifatto o restaurato al tempo degli Aragonesi, dopo aver subito proprio in quest'epoca uno dei più feroci e devastanti assedi della sua storia.
Situato alle porte settentrionali della pianura campana, il castello di Calvi aveva una funzione di controllo sulla vecchia Via Latina, un'arteria stradale che ancora nel basso medio evo assicurava la maggior parte dei collegamenti tra Roma e la Campania, ciò soprattutto in dipendenza del fatto che l'Appia, l'altra grande strada consolare, risultava del tutto impraticabile all'altezza delle paludi pontine.
Il castello di Calvi appare allineato perfettamente alle concezioni dell'architettura militare.
Così come si accennava, esso si mostra con quattro torri angolari che serrano delle cortine murarie innalzate su di una pianta quadrangolare.
Altra caratteristica delle torri calvesi e data dal fatto che esse non risultano piene nella loro parte inferiore, così come accadeva nell'alto medio evo, bensì vuote, con varie finestrelle e feritoie dietro le quali trovavano posto i balestrieri e gli archibugieri.
C'è da aggiungere, infine, che il paramento murario delle torri si presenta realizzato con blocchi di piperino scuro, lisci e regolari, disposti con cura per linee orizzontali.
Al castello si accede attraverso una porta arcuata situata alla base della sua cortina occidentale. Questa immette in due successivi cortili ai lati dei quali vi sono diversi locali, destinati evidentemente agli alloggiamenti dei soldati.
Dopo essere passati nel secondo cortile, si può salire al piano superiore salendo una scala situata nel primo ambiente a sinistra. Si arriva così a quello che un tempo veniva definito il piano nobile, dove si trovavano i saloni e gli ambienti riservati al feudatario ed ai suoi ospiti.torcas.gif (67578 byte)
(particolare del castello)
E' probabile che al di sopra di questo piano ci fosse anche una grande soffitta coperta che si estendeva il perimetro delle cortine. Questa congettura è suggerita dalla presenza di alcune strutture murarie che si elevano sul piano superiore, le quali potrebbero essere i supporti su cui si appoggiava la copertura. Al proposito, non va infatti dimenticato che il castello fu abitato fino al 1700 ed è sintomatico che in una vecchia stampa del Pacichelli (cfr. G. B. Pacichelli, Il Regno di Napoli in prospettiva, pp. 102-103, Napoli 1702) lo si possa vedere ancora in piedi e debitamente coperto.
Quello che si staglia sulla vecchia arce calena, proprio ai margini della «Casilina» e sul ciglio del grande fossato che affaccia sul Rio dei Lanzi non è certamente il castello di Atenolfo e dei conti longohardi di Calvi e tantomeno quello dei suoi successivi signori normanni.
Nella sua attuale struttura architettonica esso è infatti da ritenersi di epoca più tarda, forse di fattura angioina o più probabilmente aragonese.
Peraltro dal momento che le fonti accennano spesso ad un castello costruito sull'arce già in epoca altomedievale è lecito pensare che quello che oggi vediamo sia stato realizzato proprio sulle rovine di una preesistente roccaforte andata distrutta nel corso di una delle tante battaglie che travagliarono le nostre contrade in quei secoli bui.
Al proposito forse giova far presente che anche Lucio Santoro, uno dei massimi esperti italiani dell'architettura difensiva meridionale sostiene che «nel luogo dell’Antica Cales vi era già un castello d'origine longobarda, dove Sancio Carilio sostenne vittoriosamente l’assedio... ».
Probabilmente solo un'apposita campagna di scavi potrebbe sciogliere questo problema. Ma il fatto è che tutte le prospezioni archeologiche effettuate a Calvi Vecchia sono state sempre mirate a scoprire le antichità classiche di Cales, mentre sono state sempre abbastanza trascurate le sue emergenze medievali.
(CALVI VECCHIA - Il castello si presenta come una tipica fortificazione di epoca aragonese con pianta quadrata e quattro torri cilindriche a base scarpata, innestate agli angoli. Probabilmente fu costruito proprio sul posto del resistente castello longobardo di cui parla Erchemperto, incorporandone le residue strutture).
In ogni caso, come si diceva il castello di Calvi non può essere considerato né longobardo, né normanno. In quest'epoca, infatti, data la povertà di mezzi tecnici e di maestranze specializzate, la grammatica costruttiva corrente contemplava soltanto la realizzazione di muraglie di pietrame innalzate alla meglio su terrapieni che spesso affacciavano su di un fossato. Le cortine murarie così edificate erano di altezza modesta e di spessore piuttosto ridotto; prive di qualsiasi elemento decorativo, esse erano spesso rinforzate con materiali di spoglio (blocchi marmorei o tufacei) asportati dai vicini monumenti di epoca classica.vedcas.gif (44949 byte)
Al centro del recinto murario, a volte veniva eretta una torre di pietra a forma quadrangolare, destinata ad ospitare il comandante o ad effettuarvi l'estrema difesa.
A Calvi Vecchia alcuni di questi elementi forse è possibile riscontrarli soltanto in una cortina muraria eretta grossolanamente sul margine occidentale dell'arce, per il resto il castello appare edificato con materiali e tecniche costruttive che ne suggeriscono una datazione più tarda.
In effetti, così com'è, esso lascia subito pensare ad una costruzione di epoca aragonese. E quasi sicuramente questa è la sua origine, ma dal momento che molte delle sue caratteristiche architettoniche sono comuni pure a fortificazioni di età angioina, se non addirittura sveva, e dando comunque per scontato che nell'arce calena esisteva una roccaforte fin dall'alto medio evo, converrà allora mantenersi più prudenti in ordine alla sua classificazione e dire che il castello con tutta probabilità fu rifatto o restaurato al tempo degli Aragonesi, dopo aver subito proprio in quest'epoca uno dei più feroci e devastanti assedi della sua storia.
Situato alle porte settentrionali della pianura campana, il castello di Calvi aveva una funzione di controllo sulla vecchia Via Latina, un'arteria stradale che ancora nel basso medio evo assicurava la maggior parte dei collegamenti tra Roma e la Campania, ciò soprattutto in dipendenza del fatto che l'Appia, l'altra grande strada consolare, risultava del tutto impraticabile all'altezza delle paludi pontine.
Circondato in buona parte da un ripido fossato, il maniero di Calvi sembra essere stato studiato a tavolino come risposta a precise esigenze strategiche e militari. Non è molto grande, ma è ordinato, essenziale e compatto nelle sue linee architettoniche, presentando volumi che si distribuiscono razionalmente su di una pianta quadrata e su quattro torri cilindriche a base scarpata che si innestano alle cortine in corrispondenza degli angoli.
Va rilevato, peraltro, che esso non è di grandi dimensioni perché fu costruito o rifatto in età quattrocentesca, cioè a dire in un'epoca in cui bisognò apportare delle radicali trasformazioni all'intera architettura militare difensiva a causa dei grandi progressi che avevano fatto le artiglierie campali.
I tiri delle «spingarde», infatti, si erano fatti più lunghi, più precisi e più devastanti. Occorreva, quindi, opporre al nemico delle fortificazioni che non si presentassero al tiro come facili bersagli, ma che, al contrario, offrissero delle volumetrie più ridotte, di basso profilo e maggiore consistenza.
Il castello di Calvi appare allineato perfettamente a queste nuove concezioni dell'architettura militare.
Così come si accennava, esso si mostra con quattro torri angolari che serrano delle cortine murarie innalzate su di una pianta quadrangolare.
Volendo esaminare più in dettaglio le caratteristiche della fortificazione a partire proprio dalle torri angolari, bisogrnerà osservare, innanzitutto, che queste si presentano con una forma cilinndrica che poggia su di una base tronco-conica, meglio conosciuta come la "scarpa".
Si tratta di un tipo di torre già in uso nel periodo angioino e a volte anche in età sveva, ma che entrò definitivamente in auge nell'epoca aragonese, sia pure con l'adozione di alcuni accorgimenti.
Le torri angioine infatti, concepite per una difesa di fiancheggiamento alle mura effettuata dall'alto, si innalzavano molto al di sopra di quest'ultime. Nell'epoca aragonese c ò non andava più bene per via della migliorata efficacia delle artiglierie e si cominciò ad abbassarle quasi ovunque fino a pareggiarle, come a Calvi, all'altezza delle cortine. Qui, inoltre, sia le torri che le mura non presentano bertesche, né merlature, né coronamento in aggetto, né caditoie per la difesa piombante.
Tutti questi elementi costruttivi furono eliminati a Calvi, come quasi dappertutto nella considerazione che essi ormai costituivano solo un facile bersaglio per i cannoni e che, in definitiva, rischiavano di essere più un pericolo che una protezione per i difensori.
Altra caratteristica delle torri calvesi e data dal fatto che esse non risultano piene nella loro parte inferiore, così come accadeva nell'alto medio evo, bensì vuote, con varie finestrelle e feritoie dietro le quali trovavano posto i balestrieri e gli archibugieri.
Esse risultano, inoltre, piuttosto sporgenti dagli angoli, questo proprio per consentire una migliore difesa di fiancheggiamento delle mura frontali del castello e si presentano con la «base scarpata», un accorgimento che era già stato sperimentato al tempo degli Angioini, ma che fu poi adottato diffusamente nelle fortificazioni aragonesi.
dogana.gif (47404 byte)la dogana borbonica in fase di restauro ad opera dell'arch. Leva Gennaro, funzionario di zona della Soprintendenza ai Beni Culturali Storici A.A.A.

 

Con la sua inclinazione più o meno forte, la «scarpa» serviva, com'è noto, a tenere il più lontano possibile dalle merlature le torri ossidionali, a diminuire il pericolo delle mine sotterranee, scavate in galleria sotto le mura, e nello stesso tempo ad evitare che i tiri delle artiglierie colpissero con un impatto ortogonale la base delle cortine murarie.
Tuttavia, dal momento che il piano inclinato della base avrebbe potuto in qualche misura facilitare la scalata delle mura per scongiurare questo pericolo si studiò di limitare l'altezza della scarpa, in modo che essa non superasse comunque in altezza poco più della metà della costruzione.
Ma, al riguardo, l'accorgimento più importante fu l'adozione del «redondone», una specie di cornice marcapiano, molto sporgente, che girava intorno alla fortificazione, innestata tra il termine della base scarpata e l'inizio del muro verticale.
Anche a Calvi Vecchia venne inserito il «redondone» tra le mura del castello ed esso, infatti, si fa presto notare come una linea continua sporgente che corre tra le cortine e le torri.
C'è da aggiungere, infine, che il paramento murario delle torri si presenta realizzato con blocchi di piperino scuro, lisci e regolari, disposti con cura per linee orizzontali.
Questo, almeno per quanto riguarda la loro parte inferiore, poiché più in alto il paramento quattrocentesco dei grossi conci pipernini cede il passo ad una diversa struttura muraria, realizzata con blocchetti di tufo a faccia ruvida ed alquanto irregolari, espressione evidente di un rifacimento effettuato in epoca successiva.
Per quanto concerne le cortine interposte, c'è da dire che due di esse - quella a Sud e l'altra a Nord - poggiano su di uno zoccolo murario lievemente scarpato e piuttosto sfalsato all'esterno rispetto al fronte delle mura. Sul suo lato superiore è realizzato un cammino di ronda, utilizzato dai difensori per il tiro radente. Inoltre, questa specie di corridoio esterno risulta collegato tramite due piccole porte alle due torri lateráli, da dove poi è possibile accedere sia al primo piano del castello, che è situato allo stesso livello del cammino di ronda, sia alla sommità dei bastioni, salendo le scale interne delle torri.
Anche la parte superiore delle cortine appare ricostruita. Infatti, le file terminali delle muraglie sono costituite dallo stesso materiale tufaceo utilizzato nel rifacimento della cima delle torri e identica appare anche la tecnica costruttiva, per cui si può dedurre che l'opera di ristrutturazione interessò tutta la parte superiore del castello. E' molto probabile che questi lavori furono effettuati verso la íine lel '400, dopo i ripetuti assedi che il castello subì nel corso della «congiura dei baroni» contro Ferrante d'Aragona.
Al castello si accede attraverso una porta arcuata situata alla base della sua cortina occidentale. Questa immette in due successivi cortili ai lati dei quali vi sono diversi locali, destinati evidentemente agli alloggiamenti dei soldati.
Dopo essere passati nel secondo cortile, si può salire al piano superiore salendo una scala situata nel primo ambiente a sinistra. Si arriva così a quello che un tempo veniva definito il piano nobile, dove si trovavano i saloni e gli ambienti riservati al feudatario ed ai suoi ospiti.
E' probabile che al di sopra di questo piano ci fosse anche una grande soffitta coperta che si estendeva il perimetro delle cortine. Questa congettura è suggerita dalla presenza di alcune strutture murarie che si elevano sul piano superiore, le quali potrebbero essere i supporti su cui si appoggiava la copertura. Al proposito, non va infatti dimenticato che il castello fu abitato fino al 1700 ed è sintomatico che in una vecchia stampa del Pacichelli lo si possa vedere ancora in piedi e debitamente coperto.
In linea subordinata, non si può neanche escludere che dette strutture possano costituire quanto è rimasto ancora in piedi di un altro piano che si elevava al di sopra del primo, il quale venne demolito di proposito o per abbassare l'altezza del castello, in ossequio alle nuove esigenze imposte dall'architettura militare, o per qualche irrimedialile danneggiamento bellico.
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 teatro.gif (74954 byte)Il Teatro di Cales

Cales, città ausone conquistata nel 335 a.C. dai Romani, diviene la prima colonia di diritto latino in Campania. Fu nota nell'antichità per la salubrità dei luoghi, la fertilità dei campi e le fiorenti attività artigianali.

 IL TEATRO ROMANO dopo i recenti scavi

Tradizionale luogo di riunione e di divertimento nel mondo greco, il teatro divenne nel mondo italico e romano un elemento tipico del tessuto urbano, a partire dalla fine del II secolo a.C.

Il teatro di Cales sorge nella zona mediana della città antica, in prossimità del limite occidentale delle mura e a poca distanza dal foro. Il primo impianto, in opera quasi reticolata di tufo, risale ad età sillana, ma presenta nel muro del proscenio tratti di opera incerta. teatrom.jpg (16234 byte) IL TEATRO ROMANO (prima dei recenti scavi)

La struttura è stata quasi sistematicamente spoliata di tutti gli elementi decorativi. L'orchestra e l'edificio scenico subiscono trasformazioni in età augustea e alla fine del I secolo d.C. L'indagine archeologica, tuttora in corso, ha portato alla luce anche parte della porticus pone scaenam con colonne in tufo e in laterizio.

                                         

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La prima campagna di scavi condotta secondo criteri scientifici fu quella del 1960.

Nuovo impulso agli studi ha dato Johannovsky con la pubblicazione di alcuni articoli fra il 1961 e il 1968.